Belle Favole
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Belle Favole
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Belle favole
di Angelo Faresin
Di questi tempi si parla molto di sciopero precario.
Precario è tutto quanto possiamo incontrare nella nostra vita: lavoro, famiglia, salute, ricchezza.
Come mai ci stupiamo allora, e prendiamo distanza da questa parola, attribuendole un significato negativo?
Credo che sia in virtù della nostra idea di Stato, o meglio dell’idea collettiva di Stato che ci è stata tramandata. Non è stato facile per l’Italia creare un minimo di unità culturale, eppure penso che ci siano stati dei risultati. L’istruzione obbligatoria negli anni ci ha dotati di un patrimonio condiviso, pur con le differenze d’ogni istituto, d’ogni realtà particolare. Dante, Petrarca, Manzoni e Foscolo non sono le uniche cose che il Paese ha condiviso, con noia o con gioia. Per poco o male che sia stata insegnata, è passata nella nostra educazione l’idea di una repubblica democratica fondata sul lavoro. Una repubblica che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo”, ma soprattutto “riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Sembra una favola, vero? C’era una volta l’Italia, una repubblica democratica che “promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. Ci hanno detto che abbiamo diritto a tutto quello che serve per una vita felice: lavoro, famiglia, istruzione, libertà di pensiero, è tutto nostro. Fin dalla nascita, fin da quando ci viene riconosciuta la cittadinanza di questo Stato, siamo stati predestinati alla felicità. E’ lo Stato che ce lo deve! Ci hanno raccontato che con la buona volontà, con l’impegno, saremmo arrivati a degli obiettivi significativi per la nostra vita. A noi basta sorridere e non abbatterci, perché tanto “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Nemmeno i fratelli Grimm avevano mai osato tanto. Presto ci si è accorti che qualcosa non andava.
Papà, perché la mia compagna di classe ha il maglione nuovo e io no?
Papà, perché la figlia del dottore ha un lavoro e io no? Perché non ho i soldi per la benzina?
Precariato. Se ci avessero detto la verità, ossia che non siamo molto distanti dal Far West, o dalla giungla di Mogwli, dove chi ha il fucile più grosso o le zanne più affilate vince, forse non saremmo così stupiti e indignati. Avremmo capito di dover tirar fuori le armi, e smesso di parlare di democrazia.
Tuttavia la Repubblica democratica del Belpaese esiste: ce lo dicono anche gli altri. Lo dice la Francia, che ci rinfaccia di emettere permessi fasulli per l’Europa. Lo dice Gheddafi, compagno di giochi con cui abbiamo un po’ litigato. Se tutti sono convinti che siamo quel che siamo, allora lo siamo davvero? Bisognerebbe chiederlo a Pirandello forse, io non ho risposte. La favola però è diventata un incubo, o forse lo è sempre stato, per alcuni. Il 14 dicembre a Roma dovrebbe aver provocato una profonda riflessione in tutto il Paese, invece temo che sia stato etichettato come l’invasione di orchi, o di briganti, presto sgominati dalle milizie in armatura e che non torneranno più a guastare la pace degli onesti sudditi italiani.
In questi anni ho sempre seguito con interesse critico le attività di queste bande di nemici cattivi: alcuni vogliono rubare l’acqua per darla a tutti, altri ancora hanno visto distrutto il loro villaggio a causa del terremoto, e si sentono ingannati. Ai più giovani e arrabbiati hanno preso i libri delle favole e li hanno buttati nel fuoco, e dicono che non gliene daranno più. E se questi briganti cattivi in realtà non fossero così cattivi, come Shrek? Forse hanno solo letto troppo Robin Hood, e l’Adelchi di Manzoni. Dicono che abbiamo bisogno di ricomposizione sociale, di renderci conto come Paese, come insieme dei cittadini, che dobbiamo stare uniti per affrontare i problemi. Qualcuno appende le mutande operando una metafora significativa, ma la gente pensa che sia solo esibizionismo o feticismo. E’ il destino dell’Italia di essere sempre sospesa tra commedia e tragedia. Ma se persino i bimbi sperduti di Peter Pan sono scesi in piazza contro il Maestro unico, una domanda bisognerebbe farsela. Che fine hanno fatto i difensori dei deboli? Gli eroi veri, popolari, salutati dalla gente del paese? Come? Non ci sono? Hanno messo su pancia e siedono alla corte del Re, bevendo il suo vino migliore? Allora abbiamo bisogno di nuovi eroi, giovani e coraggiosi, che appoggino l’arco di legno a terra, e comincino a rimboccarsi le maniche, per costruire delle nuove istituzioni, per cambiare la politica dal suo interno. Senza violenza, con la forza dell’onestà e sorretti dalla volontà popolare, si può ripulire la corte e ridarla al vero sovrano: il Popolo.
Belle favole
di Angelo Faresin
Di questi tempi si parla molto di sciopero precario.
Precario è tutto quanto possiamo incontrare nella nostra vita: lavoro, famiglia, salute, ricchezza.
Come mai ci stupiamo allora, e prendiamo distanza da questa parola, attribuendole un significato negativo?
Credo che sia in virtù della nostra idea di Stato, o meglio dell’idea collettiva di Stato che ci è stata tramandata. Non è stato facile per l’Italia creare un minimo di unità culturale, eppure penso che ci siano stati dei risultati. L’istruzione obbligatoria negli anni ci ha dotati di un patrimonio condiviso, pur con le differenze d’ogni istituto, d’ogni realtà particolare. Dante, Petrarca, Manzoni e Foscolo non sono le uniche cose che il Paese ha condiviso, con noia o con gioia. Per poco o male che sia stata insegnata, è passata nella nostra educazione l’idea di una repubblica democratica fondata sul lavoro. Una repubblica che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo”, ma soprattutto “riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Sembra una favola, vero? C’era una volta l’Italia, una repubblica democratica che “promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. Ci hanno detto che abbiamo diritto a tutto quello che serve per una vita felice: lavoro, famiglia, istruzione, libertà di pensiero, è tutto nostro. Fin dalla nascita, fin da quando ci viene riconosciuta la cittadinanza di questo Stato, siamo stati predestinati alla felicità. E’ lo Stato che ce lo deve! Ci hanno raccontato che con la buona volontà, con l’impegno, saremmo arrivati a degli obiettivi significativi per la nostra vita. A noi basta sorridere e non abbatterci, perché tanto “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Nemmeno i fratelli Grimm avevano mai osato tanto. Presto ci si è accorti che qualcosa non andava.
Papà, perché la mia compagna di classe ha il maglione nuovo e io no?
Papà, perché la figlia del dottore ha un lavoro e io no? Perché non ho i soldi per la benzina?
Precariato. Se ci avessero detto la verità, ossia che non siamo molto distanti dal Far West, o dalla giungla di Mogwli, dove chi ha il fucile più grosso o le zanne più affilate vince, forse non saremmo così stupiti e indignati. Avremmo capito di dover tirar fuori le armi, e smesso di parlare di democrazia.
Tuttavia la Repubblica democratica del Belpaese esiste: ce lo dicono anche gli altri. Lo dice la Francia, che ci rinfaccia di emettere permessi fasulli per l’Europa. Lo dice Gheddafi, compagno di giochi con cui abbiamo un po’ litigato. Se tutti sono convinti che siamo quel che siamo, allora lo siamo davvero? Bisognerebbe chiederlo a Pirandello forse, io non ho risposte. La favola però è diventata un incubo, o forse lo è sempre stato, per alcuni. Il 14 dicembre a Roma dovrebbe aver provocato una profonda riflessione in tutto il Paese, invece temo che sia stato etichettato come l’invasione di orchi, o di briganti, presto sgominati dalle milizie in armatura e che non torneranno più a guastare la pace degli onesti sudditi italiani.
In questi anni ho sempre seguito con interesse critico le attività di queste bande di nemici cattivi: alcuni vogliono rubare l’acqua per darla a tutti, altri ancora hanno visto distrutto il loro villaggio a causa del terremoto, e si sentono ingannati. Ai più giovani e arrabbiati hanno preso i libri delle favole e li hanno buttati nel fuoco, e dicono che non gliene daranno più. E se questi briganti cattivi in realtà non fossero così cattivi, come Shrek? Forse hanno solo letto troppo Robin Hood, e l’Adelchi di Manzoni. Dicono che abbiamo bisogno di ricomposizione sociale, di renderci conto come Paese, come insieme dei cittadini, che dobbiamo stare uniti per affrontare i problemi. Qualcuno appende le mutande operando una metafora significativa, ma la gente pensa che sia solo esibizionismo o feticismo. E’ il destino dell’Italia di essere sempre sospesa tra commedia e tragedia. Ma se persino i bimbi sperduti di Peter Pan sono scesi in piazza contro il Maestro unico, una domanda bisognerebbe farsela. Che fine hanno fatto i difensori dei deboli? Gli eroi veri, popolari, salutati dalla gente del paese? Come? Non ci sono? Hanno messo su pancia e siedono alla corte del Re, bevendo il suo vino migliore? Allora abbiamo bisogno di nuovi eroi, giovani e coraggiosi, che appoggino l’arco di legno a terra, e comincino a rimboccarsi le maniche, per costruire delle nuove istituzioni, per cambiare la politica dal suo interno. Senza violenza, con la forza dell’onestà e sorretti dalla volontà popolare, si può ripulire la corte e ridarla al vero sovrano: il Popolo.
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