Requiem for Spain di Cristoforo Simonetta
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Requiem for Spain di Cristoforo Simonetta
Nota: questo articolo ci è stato inviato per l'Effemeride, ma visto che mi manca il tempo per postarlo là, oltre al fatto che come ho già scritto mancandoci FB (ricreato recentemente, ma con pochi iscritti ora) non riusciremmo a darli la visibilità giusta.
Requiem for Spain
Cristoforo Simonetta
Requiem for Spain
Le proteste del movimento degli indignados a plaza do Sol a Madrid di questi giorni mi ha fatto tornare alla mente alcuni miti considerati reali fino a due anni fa.
Nel 2007 infatti, dopo che euro-barometro pubblicò i suoi dati sul pil pro capite nei paesi membri, si celebrò il “sorpasso storico” della Spagna a scapito dell’Italia: un evento che non capitava da secoli. Per molti era il chiaro riconoscimento di una Spagna nuova, moderna ed efficiente che finalmente dimostrava a noi italiani che oramai eravamo una potenza decadente destinata al tramonto. Per tutti gli europei Spagna non significava più miseria, ma movida, divertimento, ci dava un idea di dinamismo e di un futuro prospero, una autentica boccata d’ossigeno che specialmente in Italia non si sentiva da tempo.
Per giungere a questo traguardo, sia i socialisti che conservatori, oramai da molti anni, misero da parte le vecchie ideologia a favore di un vero e proprio culto della crescita , però ad un prezzo.
Come nel ‘500 Filippo II sacrificò le foreste di Spagna per la sua invicnibile armata, fin dall’inizio del miracolo economico la prima vittima è stato proprio l’ambiente. Già nel 2005, per esempio, le emissioni di Co2 della Spagna, con buona pace dell’efficienza, erano superiori del 50% rispetto ai dati degli anni ’90 e del 38% rispetto alla nostra Italia, per non parlare dell’ulteriore inaridimento dei suoli e dell’eccessivo utilizzo di risorse idriche. Non solo, inoltre l’economia spagnola cresceva a ritmi impressionanti specialmente per l’aumento iperbolico del settore edilizio creando così una vera e propria bolla speculativa destinata a scoppiare.
Ma chi tentò di mettere in mostra le crepe del sistema, rimase nel migliore dei casi inascoltato poichè andare contro l’ideologia super-capitalista era considerato controproducente visto che alla fine dopo molti anni aveva coronato il sogno della Spagna.
Ci furono sognatori che andarono oltre, come Stefan Bergheim, economista di Deutsch Bank Reserch,che disse in una intervista sempre del 2007:“La Spagna è destinata a crescere ed a superare non solo l’Italia, ma anche la Germania con il Pil pro capite nel 2020”. Difficilmente le profezie di questo tipo si avverano, ma raramente sbagliano in maniera così clamorosa.
La crisi del 2008 rappresentò per gli spagnoli, e rappresenta tutt’ora, la fine di un sogno: l’agognato ritorno al rango di potenza mondiale dopo secoli di conflitti interni, miseria e povertà, si è infranto e ben presto è diventato un incubo.
Tutto il “castello” è crollato ad una velocità tale da trovare perfino gli scettici del modello super capitalista sorpresi ed impreparati: il paese ha cominciato a rallentare (nel 2008 da il 3,6% stimato si giunse all’1,2% effettiva di crescita annua) per cominciare successivamente a decrescere; la disoccupazione che era all’inizio dell’anno del 8,3% giunse già a dicembre all’11%, fino ad arrivare ai giorni nostri al 21,6 %.
Insomma da alunno eccellente della scuola neo-liberista la Spagna si è trasformata così in un peso per l’Europa se non addirittura una minaccia, un paese instabile ed improvvisamente povero. Questo tracollo è stato un autentico shock per gli spagnoli che da amanti della movida e del divertimento sono diventati indignati e disgustati contro l’intero sistema.
Nonostante come crolli siano stati meno spettacolari di quello spagnolo, anche altri paesi europei considerati le tigri del continente, si sono dimostrate in realtà delle gazzelle pronte ad essere azzannate e sbranate dai predatori della finanza globale e della corruzione interna: Irlanda (che nel 2007 registrava una crescita del 4,7%, nel 2008 già del -1,8% fino ad arrivare nel 2009 addirittura del -7,9%); Romania (paese che si vantava di essere immune alla crisi e dal 7,1% nel 2008 è passata al -1% nel 2009); Ungheria; Lettonia; tutti paesi considerati le punte di eccellenza della nuova Europa e che adesso, guarda caso, si trovano sommersi da debiti da pagare e costrette a fare misure draconiane di austerity.
In passato qualcuno si sarebbe chiesto se allora il modello economico avesse al suo interno degli errori di sistema, invece la nostra attuale classe dirigente è ancora convinta che sono solo problemi “tecnici” risolvibili visto che nel mondo esistono ancora paesi che crescono grazie a questo modello (prima fra tutte la Cina, anche se recentemente nonè più così).
Purtroppo per noi, a causa di questi “problemi tecnici” (e non solo) ci stiamo indebolendo con le nostre stesse mani, abbiamo fatto nascere una rosa nel nostro giardino ed ora la stiamo uccidendo a forza di pesticidi. Bisogna rassegnarci all’idea che in questa fase o saremo noi a cambiare o sarà la crisi stessa a cambiarci.
La Grecia è stato solamente la prova generale, la vera prima tempesta dell’autunno d’Europa deve ancora arrivare e porta un nome: Spagna.
Se fingiamo ancora che la crescita tornerà e se crediamo ancora in false speranze, allora usciremo da questa crisi devastati e, nella peggiore delle ipotesi, annientati.
Non dobbiamo neanche rassegnarci di fronte alla tempesta che sta giungendo ed aspettare passivamente deprimendoci.
Bisogna prendere coraggio, ammettere i nostri propri errori e soprattutto assumerci le nostre responsabilità. La colpa di questa crisi non è solamente di qualche potere oscuro e misterioso che si cela nella finanza o nella politica, ma soprattutto nostra poiché siamo stati noi a eleggere e selezionare una classe dirigente incapace ed avida. Potevamo protestare prima, ma non l’abbiamo fatto perché in fondo questa crescita non ci dispiaceva e solo quando è entrata platealmente in crisi, come gli idnignados di Spagna, abbiamo cominciato a lamentarci.
Sebbene sia salutare, seppur tardivo, l’indignazione, ora bisogna veramente cambiare e plasmare un nuovo sistema che funga come salvagente per la nostra società, che dia la possibilità alla nostra rosa di sopravvivere al lungo autunno che ci attende.
Giudizio, sostenibilità e rispetto devono essere i valori cardine del nuovo sistema basato non più sulla crescita e sulla competizione che hanno come unico risultato la sconfitta e l’impoverimento di tutti i contendenti.
Dove si consideri civiltà non l’uso folle e spregiudicato delle materie prime e la mercificazione perfino dell’uomo, ma l’attribuire a ciascuna risorsa il suo valore reale e riconosce ed accettare i limiti che madre natura ci ha imposto, che ci piaccia o no,.
Un nuovo sistema che si crei soprattutto dal basso, dai cittadini, grazie alla collaborazione, alla partecipazione e soprattutto all’agire giusto sia in rispetto del prossimo, sia in rispetto della natura stessa anche con piccole azioni quotidiane. Non bisogna scoraggiarci e sentirci microbi di fronte alle sfide che ci attendono, perchè se è vero che viviamo in democrazia, sono i cittadini stessi che possono e devono segnare la svolta.
Più si aspetterà a cambiare, più saremo vulnerabili e deboli di fronte alla bufera. Se ci si rifiuterà di agire del tutto nella speranza che la crescita possa tornare, saremo macchiati da uno dei peggiori crimini che una civiltà possa compiere: l’assassinare il futuro delle prossime generazioni europee, negargli quindi la possibilità di vivere in pace in un grande continente come è l’Europa ed avere una vita degna di questo nome.
Nel 2007 infatti, dopo che euro-barometro pubblicò i suoi dati sul pil pro capite nei paesi membri, si celebrò il “sorpasso storico” della Spagna a scapito dell’Italia: un evento che non capitava da secoli. Per molti era il chiaro riconoscimento di una Spagna nuova, moderna ed efficiente che finalmente dimostrava a noi italiani che oramai eravamo una potenza decadente destinata al tramonto. Per tutti gli europei Spagna non significava più miseria, ma movida, divertimento, ci dava un idea di dinamismo e di un futuro prospero, una autentica boccata d’ossigeno che specialmente in Italia non si sentiva da tempo.
Per giungere a questo traguardo, sia i socialisti che conservatori, oramai da molti anni, misero da parte le vecchie ideologia a favore di un vero e proprio culto della crescita , però ad un prezzo.
Come nel ‘500 Filippo II sacrificò le foreste di Spagna per la sua invicnibile armata, fin dall’inizio del miracolo economico la prima vittima è stato proprio l’ambiente. Già nel 2005, per esempio, le emissioni di Co2 della Spagna, con buona pace dell’efficienza, erano superiori del 50% rispetto ai dati degli anni ’90 e del 38% rispetto alla nostra Italia, per non parlare dell’ulteriore inaridimento dei suoli e dell’eccessivo utilizzo di risorse idriche. Non solo, inoltre l’economia spagnola cresceva a ritmi impressionanti specialmente per l’aumento iperbolico del settore edilizio creando così una vera e propria bolla speculativa destinata a scoppiare.
Ma chi tentò di mettere in mostra le crepe del sistema, rimase nel migliore dei casi inascoltato poichè andare contro l’ideologia super-capitalista era considerato controproducente visto che alla fine dopo molti anni aveva coronato il sogno della Spagna.
Ci furono sognatori che andarono oltre, come Stefan Bergheim, economista di Deutsch Bank Reserch,che disse in una intervista sempre del 2007:“La Spagna è destinata a crescere ed a superare non solo l’Italia, ma anche la Germania con il Pil pro capite nel 2020”. Difficilmente le profezie di questo tipo si avverano, ma raramente sbagliano in maniera così clamorosa.
La crisi del 2008 rappresentò per gli spagnoli, e rappresenta tutt’ora, la fine di un sogno: l’agognato ritorno al rango di potenza mondiale dopo secoli di conflitti interni, miseria e povertà, si è infranto e ben presto è diventato un incubo.
Tutto il “castello” è crollato ad una velocità tale da trovare perfino gli scettici del modello super capitalista sorpresi ed impreparati: il paese ha cominciato a rallentare (nel 2008 da il 3,6% stimato si giunse all’1,2% effettiva di crescita annua) per cominciare successivamente a decrescere; la disoccupazione che era all’inizio dell’anno del 8,3% giunse già a dicembre all’11%, fino ad arrivare ai giorni nostri al 21,6 %.
Insomma da alunno eccellente della scuola neo-liberista la Spagna si è trasformata così in un peso per l’Europa se non addirittura una minaccia, un paese instabile ed improvvisamente povero. Questo tracollo è stato un autentico shock per gli spagnoli che da amanti della movida e del divertimento sono diventati indignati e disgustati contro l’intero sistema.
Nonostante come crolli siano stati meno spettacolari di quello spagnolo, anche altri paesi europei considerati le tigri del continente, si sono dimostrate in realtà delle gazzelle pronte ad essere azzannate e sbranate dai predatori della finanza globale e della corruzione interna: Irlanda (che nel 2007 registrava una crescita del 4,7%, nel 2008 già del -1,8% fino ad arrivare nel 2009 addirittura del -7,9%); Romania (paese che si vantava di essere immune alla crisi e dal 7,1% nel 2008 è passata al -1% nel 2009); Ungheria; Lettonia; tutti paesi considerati le punte di eccellenza della nuova Europa e che adesso, guarda caso, si trovano sommersi da debiti da pagare e costrette a fare misure draconiane di austerity.
In passato qualcuno si sarebbe chiesto se allora il modello economico avesse al suo interno degli errori di sistema, invece la nostra attuale classe dirigente è ancora convinta che sono solo problemi “tecnici” risolvibili visto che nel mondo esistono ancora paesi che crescono grazie a questo modello (prima fra tutte la Cina, anche se recentemente nonè più così).
Purtroppo per noi, a causa di questi “problemi tecnici” (e non solo) ci stiamo indebolendo con le nostre stesse mani, abbiamo fatto nascere una rosa nel nostro giardino ed ora la stiamo uccidendo a forza di pesticidi. Bisogna rassegnarci all’idea che in questa fase o saremo noi a cambiare o sarà la crisi stessa a cambiarci.
La Grecia è stato solamente la prova generale, la vera prima tempesta dell’autunno d’Europa deve ancora arrivare e porta un nome: Spagna.
Se fingiamo ancora che la crescita tornerà e se crediamo ancora in false speranze, allora usciremo da questa crisi devastati e, nella peggiore delle ipotesi, annientati.
Non dobbiamo neanche rassegnarci di fronte alla tempesta che sta giungendo ed aspettare passivamente deprimendoci.
Bisogna prendere coraggio, ammettere i nostri propri errori e soprattutto assumerci le nostre responsabilità. La colpa di questa crisi non è solamente di qualche potere oscuro e misterioso che si cela nella finanza o nella politica, ma soprattutto nostra poiché siamo stati noi a eleggere e selezionare una classe dirigente incapace ed avida. Potevamo protestare prima, ma non l’abbiamo fatto perché in fondo questa crescita non ci dispiaceva e solo quando è entrata platealmente in crisi, come gli idnignados di Spagna, abbiamo cominciato a lamentarci.
Sebbene sia salutare, seppur tardivo, l’indignazione, ora bisogna veramente cambiare e plasmare un nuovo sistema che funga come salvagente per la nostra società, che dia la possibilità alla nostra rosa di sopravvivere al lungo autunno che ci attende.
Giudizio, sostenibilità e rispetto devono essere i valori cardine del nuovo sistema basato non più sulla crescita e sulla competizione che hanno come unico risultato la sconfitta e l’impoverimento di tutti i contendenti.
Dove si consideri civiltà non l’uso folle e spregiudicato delle materie prime e la mercificazione perfino dell’uomo, ma l’attribuire a ciascuna risorsa il suo valore reale e riconosce ed accettare i limiti che madre natura ci ha imposto, che ci piaccia o no,.
Un nuovo sistema che si crei soprattutto dal basso, dai cittadini, grazie alla collaborazione, alla partecipazione e soprattutto all’agire giusto sia in rispetto del prossimo, sia in rispetto della natura stessa anche con piccole azioni quotidiane. Non bisogna scoraggiarci e sentirci microbi di fronte alle sfide che ci attendono, perchè se è vero che viviamo in democrazia, sono i cittadini stessi che possono e devono segnare la svolta.
Più si aspetterà a cambiare, più saremo vulnerabili e deboli di fronte alla bufera. Se ci si rifiuterà di agire del tutto nella speranza che la crescita possa tornare, saremo macchiati da uno dei peggiori crimini che una civiltà possa compiere: l’assassinare il futuro delle prossime generazioni europee, negargli quindi la possibilità di vivere in pace in un grande continente come è l’Europa ed avere una vita degna di questo nome.
Cristoforo Simonetta
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